Investire nei titoli

Oggi parliamo di... finanza.

No, dai, io faccio fatica a capire il concetto di interesse, complice anche il fatto che la mia banca non fa altro che chiedermi soldi, quindi i “titoli” di cui di parla qui sono quelli dati dagli autori alle proprie opere.

Per quanto riguarda l'investimento in questa sede si utilizzerà questa parola nella sua accezione stradale: utilizzo di un mezzo di locomozione per colpire violentemente il responsabile della traduzione del suddetto titolo.

Già, lo sappiamo tutti che in Italia (ma anche all'estero, non vi preoccupate), c'è un comandamento in più oltre a quelli che Nostro Signore si è scomodato a far scrivere a Mosè. E questo comandamento è “Non manterrai il titolo originale di un opera”.

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Ovviamente ci sono differenti formulazioni della stessa norma, che in qualche modo dettagliano la sua applicazione, come “Non tradurrai esattamente il titolo di un opera” o “Farai di tutto perché il titolo italiano non abbia nulla a che fare con il titolo originale e il contenuto dell'opera”. Ma la sostanza è sempre quella: il titolo va cambiato.

La maggior parte di noi è ormai abbastanza consapevole dello scempio che viene fatto nel mondo del cinema. Generalmente almeno gli esempi più eclatanti sono noti, concedetemi un minuto per elencarne alcuni.

Brave (coraggiosa, impavida) che diventa Ribelle, anzi a voler essere precisi il titolo italiano è Ribelle - The Brave. The è stato aggiunto probabilmente perché lo sponsor del film è la Nestlè. Dopo il “Beltè”, il “Bravetè”, più buono proprio non ce n'è.

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Walk the line ovviamente è Quando l'amore brucia l'anima. Qui the è tradotto nella sua accezione sintoprismatica presa dal gallese antico l'amore brucia. Walk è quando in lingua dakotan e line è l'anima in urdu. Come si vede la traduzione è banale. Peccato che “I walk the line” sia una canzone molto famosa di Johnny Cash, mentre “Quando l'amore brucia l'anima” è una citazione di uno degli Harmony che ci sono dalla parrucchiera. A questo punto potevano intitolarlo “Per l'amore di un gitano” e fare una citazione fatta bene.

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Unforgiven. Ok, ok, stiamo solo parlando del capolavoro di Clint Eastwood che nel 1992 chiude il genere western. Bazzecole, no? Il tema del film è magistralmente comunicato dal titolo che, chiedo perdono per la mia traduzione letterale, significa “(i) non perdonati”. “I senza perdono”. Ora, tradurre unforgiven è difficile, lo ammetto. Ma tradurlo con Gli spietati manca clamorosamente il colpo. Certo, i pistoleri sono spietati, ma allora potevamo intitolarla anche “le battone sfregiate”, visto che il motore del film è proprio una prostituta che viene sfregiata. E non si poteva assolutamente lasciare il titolo così com'era, visto che purtroppo nel 1992 non esisteva Google Translator e nessuno avrebbe potuto rendersi conto del significato della parola. “Ghostbusters” del 1986, infatti, è stato condannato dal Tribunale dell'ONU per crimini contro l'umanità, assieme a “The Blues Brothers” (1980). Solo per citare due filmetti da oratorio di provincia, eh.

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Ok, mi fermo qui, visto che mi ero ripromesso di parlare di altro. Infatti, mentre si sente molto parlare delle traduzioni allegre dei titoli dei film, si sentono meno lamentele sui titoli dei libri. Come mai? Forse perché i titoli dei libri sono tradotti perfettamente, così come i libri stessi, anzi spesso lasciati in originale quando la traduzione risultasse impossibile?

Ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah (risata italiana)

Ha ha ha ha ha ha ha ha ha ha (risata inglese)

Improvvisamente mi sono ricordato il mio Rocket Raccoon: That is the most real, authentic, hysterical laugh of my entire life because THAT IS BULLSHIT!

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(Cavolo sono riuscito a fare una citazione nella citazione, entrambe parafrasate. Mi faccio paura da solo.)

Da buon appassionato di videogiochi e di letteratura fantasy e di fantascienza ho passato gran parte della vita a cavallo tra l'italiano e l'inglese. Prima per necessità (negli anni 80, ad esempio, si traducevano pochi videogiochi), poi per scelta, avendo ad un certo punto realizzato che leggere un libro in inglese è un'impresa alla portata di un normale liceale.

La traduzione è un argomento spinoso. Molto spinoso. La mia posizione a riguardo si potrebbe riassumente con la dizione “tolleranza obbligata”. In effetti io penso che tradurre sia fondamentalmente sbagliato, ma necessario per poter fruire ciò che viene prodotto al di fuori della propria “cerchia linguistica”. In effetti faticherei a leggere alcuni capolavori come Full Metal Alchmist (manga giapponese) o anche solo Il piccolo principe, essendo digiuno delle rispettive lingue originali.

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Non apro comunque qui il discorso (interessantissimo, a mio parere) su cosa significhi comunicare, su che cosa sia la lingua e sul fatto che in fondo ogni uomo ha la propria, essendo questa totalmente legata alla storia ed alla cultura personale. Mi limito a dire che ritengo che tradurre sia una cosa difficilissima. Soprattutto poi nell'ambito del fantasy e della fantascienza, dove schiere di appassionati come me sono pronti a legare il povero traduttore ad un palo e a giocare al piccolo lanciatore di bisturi avvelenati o a streghe ed inquisitori.

Chiarita la posizione con cui mi permetto di muovere delle critiche al lavoro di un professionista, passerò a muovere delle aspre critiche al lavoro di gente che si spaccia per professionisti mentre andrebbe spedita a vendere pentole ai cannibali dell'Amazzonia.

Partiamo con un classicissimo. Delusion’s Master di Tanith Lee. Chiunque, d'impeto, tradurrebbe con “Il signore delle delusioni”, perché i false friends sono così, anche se sappiamo che è sbagliato ci viene in mente lo stesso. Tipo tutte le volte che devo dire fabbrica, che mi viene fabric e poi mi correggo dicendo farm, perché factory assomiglia a fattoria.

Ad ogni modo a qualcuno potrebbe venire in mente che il mestiere di “signore delle delusioni” non è proprio quotatissimo, voglio dire, magari uno fa il signore degli anelli, che adesso la gioielleria va tanto, se proprio magari può essere “il signore degli anelli, ma vendiamo anche orecchini e collane” giusto per espandere il business. Ma il signore delle delusioni fa sicuramente pochi affari.

Ed in effetti purtroppo delusion in inglese significa illusione e "Il signore delle illusioni" è un bel romanzo. Ma Fanucci, nel 1991, credeva ancora nel mercato delle delusioni a basso costo, vendute porta a porta. Fortuna che la Newton Compton nel 1994 ha corretto il tiro.

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Altro classicissimo, recentemente riproposto dalla Fanucci stessa, è il ciclo "The Belgariad" di David Eddings, una pietra miliare del fantasy, pubblicata dal 1982 al 1984. I titoli dei cinque volumi che compongono il ciclo sono "Pawn of Prophecy", "Queen of Sorcery", "Magician’s Gambit", "Castle of Wizardry", "Enchanters’ End Game". Il tema dei romanzi è una lotta tra due profezie (una buona e l'altra malvagia, nulla di nuovo qui) ed Eddings intitola i romanzi utilizzando il linguaggio scacchistico, a suggerire proprio l'idea di una partita a scacchi tra bene e male. La traduzione letterale dei titoli sarebbe “Il pedone della profezia”, “La regina della stregoneria”, “Il gambetto del mago”, “La torre della magia”, “Il finale dell'incantatore”. Forse possono suonare strani perché pochi conoscono il linguaggio scacchistico, ma i titoli italiani scelti a suo tempo dal traduttore perdono totalmente il rimando alla partita tra due giocatori: "Il segno della profezia", "La regina della magia", "La valle di Aldur", "Il castello incantato", "La fine del gioco". Non male, almeno hanno abbastanza a che fare con il fantasy, ma neppure troppo bene.

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Povero, povero Larry Niven, lo prendo ad esempio di tutta una serie di scrittori di fantascienza che ha subito un rimaneggiamento dei titoli delle proprie opere. 1970: viene pubblicato il suo "Ringworld", che vince il premio Hugo, il Nebula e il Locus. Per i digiuni di fantascienza è come dire che un film ha vinto 10 Oscar, per quanto io lo ritenga un romanzo scritto malissimo. “Ringworld” è il “Mondo Anello”, chiamato così nel romanzo stesso, visto che è a forma di anello. Complesso, eh? Evidentemente molto, visto che il titolo italiano del romanzo è "Burattinai nel cosmo", poi revisionato in "I burattinai" dall'Editrice Nord. Ma il secondo libro del ciclo, "The Ringworld Engineers", pubblicato 7 anni dopo dalla stessa Nord, vede la luce come "Il segreto dei costruttori di Ringworld". Lasciando da parte il segreto che non c'è (Fanucci in effetti poco prima lo aveva edito come "I costruttori di Ringworld"), com'è che qui appare la parola Ringworld? Non era il Mondo Anello? Perché non chiamare il primo romanzo semplicemente “Ringworld” o, se proprio necessario, “Il Mondo Anello”?

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Stiamo parlando di fantascienza, come non fare una capatina a casa Asimov? Stiamo sul ciclo più universalmente noto: "Foundation", "Foundation and Empire", "Second Foundation" (i tre romanzi originali, poi affiancati da altri). Direi che una semplicissima traduzione è “Fondazione”, “Fondazione e Impero”, “Seconda Fondazione” (sull'uso delle maiuscole in inglese e italiano tornerò in un prossimo articolo). Già, una semplice traduzione. Troppo semplice. Tanto che io ho conosciuto questi romanzi nell'edizione Mondadori degli anni ‘70: "Cronache della Galassia", "Il crollo della Galassia centrale" e "L'altra faccia della spirale". Recentemente Mondadori, in vena di espiare le proprie colpe (che sta tuttora commettendo), pubblica in un unico volume la Trilogia della Fondazione dove traduce correttamente i titoli. Del tutto correttamente? Non proprio: "Foundation" diventa "Prima Fondazione". Già perché Asimov era stupido e non aveva capito che se c'è una “Second Foundation” deve per forza esserci una “First Foundation”. Grazie per aver corretto il maestro, Mondadori.

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Quando lessi "Il tiranno dei mondi", sempre di Asimov, ero un liceale poco interessato al titolo originale dei libri. Qualche anno dopo (già universitario) riuscii finalmente a procurarmi ad una bancarella dell'usato un famoso romanzo di Asimov, "Stelle come polvere". Il senso di deja-vu mi colse dopo poche pagine, ed infatti una breve ricerca su Internet (che non avevo al liceo) mi confermò che "The Stars, Like Dust" di Asimov era stato originariamente pubblicato in Italia da Mondadori come "Il tiranno dei mondi", nella collana Urania. Nonostante la correzione dell'Editrice Nord, quindi, che nel 1972 lo pubblica con un titolo corretto, Mondadori prosegue sulla propria strada e pubblica “Il tiranno dei mondi” ben altre 5 volte, tra il 1976 e il 1995. Proprio questo romanzo ci mostra comunque che la mania non è solo italiana. "The Stars, Like Dust" fu pubblicato a puntate con il nome "Tyrann" e la prima edizione fu intitolata "The Rebellious Stars". Come diceva Tolkien “Three is company”. E Jack Tripper saluta dagli spalti.

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Venendo ad anni recenti trovo che la mania non è scemata. "Ready Player One" di Ernest Cline (tornerò in futuro sulla traduzione di questo romanzo) diventa "Player One". Ora, togliere una parola inglese su tre sicuramente riduce il terrificante impatto psicologico di un titolo in lingua straniera, giusto? Ma “Ready Player One” fa riferimento a quanto scrivevano sullo schermo i videogiochi degli anni 80, mentre “Player One” perde un poco il riferimento. E i destinatari principali del romanzo, coloro che negli anni 80 hanno giocato a quei videogiochi, anche in Italia, colgono immediatamente la citazione. Perché cambiarla, allora?

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L'inglese tra l'altro non è l'unica vittima della traduzione selvaggia. Ne è testimone "Der schwarm" di Frank Schätzing. Mentre il vocabolo “Weltanschauung” (ben noto ai letterati) non è direttamente traducibile, portando con sé un quantitativo notevole di significati filosofici, “Der Schwarm” significa precisamente “Lo sciame”. Nulla di più, nulla di meno. Infatti troviamo in libreria "Il quinto giorno" di Schätzing, perché gli italiani cosa sia uno sciame non lo sanno, ma fino a cinque sanno contare perché hanno un numero sufficiente di dita.

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Eppure ci sono molti esempi di titoli tradotti correttamente o almeno cercando di essere il più possibile aderenti all'originale. Pesco dagli anni 70 (per la precisione 1970-1978) una pentalogia eccezionale, le “Cronache di Ambra” di Roger Zelazny. "Nine Princes in Amber" ("Nove principi in Ambra"), "The Guns of Avalon" ("Le armi di Avalon"), "Sign of the Unicorn" ("Il segno dell'unicorno"), "The Hand of Oberon" ("La mano di Oberon"), "The Courts of Chaos" ("Le coorti del Caos").

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Salto a pochi anni fa e trovo Fanucci che porta in Italia la trilogia di Mistborn di Brandon Sanderson. “Mistborn” sarebbe traducibile con “nato/a/i dalla nebbia” e viene lasciato in originale, anche nel romanzo, dove le nebbie hanno un ruolo predominante. Magari poteva starci una nota di traduzione, ma per me va bene così. E i titoli sono tradotti bene: "Mistborn: The Final Empire" ("Mistborn: L'Ultimo Impero"), "Mistborn: The Well of Ascension" ("Mistborn: Il Pozzo dell'Ascensione") e "Mistborn: The Hero of Ages" ("Mistborn: Il Campione delle Ere"). Non mi sogno neppure di sindacare la scelta di “campione” per “hero”; mi pare perfettamente calzante il tema epico del titolo, e poi “L'eroe delle ere” sarebbe risultato difficile da dire anche per chi riesce a pronunciare correttamente la lettera “r” (non il sottoscritto). La scelta di ultimo per final nel titolo del primo romanzo non è male ma poteva essere tranquillamente tradotto con finale: nel romanzo l'imperatore è immortale, quindi il suo regno durerà sempre. Ultimo nel senso che non ce ne sarà mai uno successivo.

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Conclusioni? Nessuna, come sempre. Però non abbiate timore di leggere in originale, se avete un po’ di conoscenza di una lingua.

Siete dei “beginner” della lingua inglese? Perché non iniziare con Harry Potter? I primi due libri (Harry Potter and the Philosopher’s Stone e Harry Potter and the Chamber of Secrets) sono brevi e molto semplici. Riuscite già a leggere decentemente? I racconti di Asimov o la citata pentalogia di Eddings. Siete dei “master”? Raccomando il ciclo delle Incarnations of Immortality (anche solo il primo On a Pale Horse) di Piers Anthony oppure Tolkien.

Buona lettura!